In Anti & Politica, Economia, Libertarismo, Primo Piano

DI LEONARDO FACCO

Leggo sul Corriere della Sera: “Da un mese almeno – ovvero da quando l’idea della patrimoniale s’è fatta concreta – c’è la fila fuori dagli sportelli dei promotori finanziari svizzeri, una fila di italiani che temono per i loro beni”. Cosa c’è da meravigliarsi? Chiedo a voi lettori: è meglio vivere in un paradiso fiscale oppure in un inferno fiscale?

Ha scritto Anthony De Jasay: “Lo Stato ha sempre svolto la funzione di tutelare la proprietà dei propri cittadini contro tutte le minacce, tranne quelle poste dallo Stato stesso. La confisca era una delle prerogative degli Stati più antichi, sebbene essi tendessero ad avvalersene con discernimento. Negli Stati moderni, le dittature si sono sentite libere di confiscare a piacimento i beni dei cittadini, trovando un limite solo nell’opportunità o meno di procedere. Gli Stati democratici hanno abbandonato la pratica della confisca, preferendo espropriare, o meglio, “nazionalizzare” la proprietà dei cittadini, in cambio di un indennizzo “equo” e “congruo”. A rigor di logica, si dovrebbe dire che definire “equo” il prezzo pagato in uno scambio forzato è un ossimoro. La legislazione, incluso quello che passa per diritto internazionale, che prescrive in che modo gli Stati sovrani debbano indennizzare i proprietari espropriati, compresi gli stranieri, è stabilita in ampia misura dagli stessi espropriatori. Se volessimo farne una caricatura, potremo immaginare un congresso di ladri che volesse promulgare delle norme per stabilire come debba essere condotto un equo ladrocinio”.

Grazie alle parole di uno dei più eminenti pensatori liberali del Novecento, ci accorgiamo che ogni volta che qualche inquisitore pretende nomi e cognomi di chi ha soldi all’estero, non solo mostra il peggior lato dell’essere umano (l’invidia), ma ci rimembra che i paradisi fiscali vanno considerati alla stregua di rifugi sicuri. Le prediche dei “tassatori per antonomasia”, che si sperticano in sermoni moralmente riprovevoli sulla “bellezza e la giustezza del pagare le imposte”, sono anche economicamente parlando distruttive.

Da voltastomaco, infine, sono le articolesse come quella di Mucchetti di oggi – sempre sul giornalone milanese – che invocano ai governanti di dare seguito ai consigli di “Sir Biss” Giuliano Amato, che da buon rapinatore di Stato (il 6permille sui conti correnti del 1992 lo ricordate?) chiede a tutti uno sforzo da 30.000 euro per ridurre di diversi punti il debito pubblico.

Per chi leggesse solo libri di scuola imposti dal programma unico della Gelmini, torniamo a De Jasay, che ci ricorda cosa sia stato in grado di compiere lo Stato predatore nel secolo scorso: “Chiunque consideri la sorte della proprietà di nobili e borghesi russi nel periodo 1917-1919 e dei beni dei contadini una decina d’anni dopo, o dei beni degli ebrei in Germania dopo il 1934 e nei Paesi occupati dai nazisti nel corso della guerra, o ancora alla proprietà negli Stati satelliti dell’Unione Sovietica dopo il 1947, o anche a gran parte delle grandi imprese industriali e finanziarie nella Gran Bretagna laburista dopo il 1945 e nelle due ondate di nazionalizzazioni sotto de Gaulle e Mitterrand in Francia, potrebbe essere indotto a cercare di trasferire almeno parte dei propri beni mobili in Liechtenstein o in qualche Paese altrettanto ospitale”.

Ecco altre due paroline invocate dai massimi opinionisti in questi giorni di “spettro default” per l’Italia: patria e nazione (oppure paese). Ci sono opinionisti che chiedono agli italiani di mettersi una mano sul cuore per salvare il “paese”. Che andassero affan…“bicchiere”. Mai come ora, le parole dello storico Samuel Johnson suonano profetiche: “Il patriottismo è l’ultimo rifugio dei mascalzoni”. E chi se non dei mascalzoni hanno rubato, sperperato, divorato i soldi dei contribuenti? Con quale faccia da… “bicchiere” i giornaloni chiedono ai cittadini di metter mano al portafogli per dare, sempre e solo ai mascalzoni, l’opportunità di salavare l’Italia? Maledetto nazionalismo, che non è altro che il sentimento di rivincita dei falliti.

E torniamo lì, brutta roba l’invidia umana. Scrisse Alexis de Tocqueville: “Le istituzioni democratiche sviluppano un forte sentimento di invidia nel cuore umano, in quanto risvegliano e lusingano il desiderio dell’uguaglianza, senza poterlo mai soddisfare interamente”. E quante stupidaggini celebrano gli invidiosi. Ancora Carlo Zucchi: “Pagare tutti per pagare meno, il più falso degli slogan da sempre usato da politicanti spendaccioni, che coi soldi sottratti ai presunti evasori non farebbero che spendere di più per aumentare il loro potere e, di conseguenza, la nostra schiavitù”.

I nazionalisti amano gli Stati forti, quelli che decidono delle nostre vite sempre e comunque. I paradisi fiscali rappresentano l’esatto opposto, essi sono la soluzione moderna alla schiavitù antica dell’uomo sull’uomo. Per ora, sono perlopiù un eden fiscale, ma in nuce sono un concentrato di libertà individuale. In un libro edito da Malatempora, intitolato “paradisi fiscali”, essi vengono additati come quanto di peggio possa infestare il mondo. Nel volume, edito nel 2002, viene riportata la mappa completa di questi regni tributari e la loro storia, che parte nel XIX secolo: “All’origine alcuni di questi territori –si legge – non erano che dei porti dove potevano trovare rifugio le navi dei grandi imperi europei, al riparo dalla intemperie e dai pirati”. Una metafora quanto mai azzeccata, non vi pare?

In fondo, chi mette i propri danari (non per forza guadagnati in maniera disonesta) vuole semplicemente custodire il frutto del proprio lavoro dalla rapina di Stato, dalla spoliazione effettuata nel nome di un “bene comune” di cui conosciamo le nefaste conseguenze. Tutti al riparo dalle intemperie politiche.

L’esistenza di legislazioni tributarie concorrenti e spesso assai più moderate di quelle proprie dei regimi socialdemocratici europei (tra cui l’Italia) ha fino ad ora offerto un freno all’ambizione di colpire sempre più la proprietà privata ed estendere l’area dell’intervento pubblico.

Chi ha ancora un po’ di sale in zucca e non ha mandato all’ammasso il proprio cervello, non può che cantare con me l’elogio del paradiso fiscale. Personalmente, di lavorare per dare il 70% del frutto del mio lavoro ad un cialtrone come Bossi non mi va. Non mi va di vivere da schiavo! Chi, invece, lo volesse si accomodi pure, ma lo faccia coi suoi soldi, non pretenda di estorcere i guadagni altrui!

P.S. Inoltre, non è mica un caso che i posti in cui si pagano poche tasse sono meravigliose location tropicali…

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Showing 6 comments
  • Roberto Porcù

    Io ho sempre contestato a ché le leggi finanziarie possano cambiare dall’oggi al domani senza un minimo di programmazione: le vorrei fisse per almeno 10 anni.
    Oggi acquisto un terreno per piantare carciofi e domani i carciofi vanno fuori legge o tutte le produzioni agricole sono soggette ad una tassa che le rende improduttive ed antieconomiche.
    Oggi mi indebito per acquistare quel macchinario che mi permetterà una maggiore produttività e domani la mia produzione deve aderire ad un consorzio “obbligatorio” che lascia a me i debiti e passa al consorzio tutti gli utili.
    Oggi vendo della merce e ne acquisto dell’altra, la banca mi fa un doppio conto e, durante la notte, un ladro viene a pescare nel conto attivo.
    Esempi non mancano, penso che la crisi in cui ci dibattiamo sia anche dovuta all’impossibilità di ogni nostra azienda di poter prevedere gli investimenti da fare.
    Personalmente risi amaramente quando proposero lo scudo fiscale pensando che quelli che erano riusciti a salvare qualche cosa, mai sarebbero tornati indietro, per essere sicuramente inchiappettati da una nuova finanziaria o da un nuovo governo. Poi pare che in molti lo abbiano fatto ed ora si troveranno gabbati. Tutto serve per fare esperienza e consolidare la fiducia che gli imprenditori ripongono nello stato.

    • Claudio G. Hütte

      Buon punto, che condivido.

  • Carmelo Miragliotta (genteproduttiva)

    Ho sentito da diverse fonti che scarseggia la disponibilità di cassette di sicurezza. Vuole dire che c’è parecchia richiesta e molta gente sta cercando “una mattonella” dove mettere al sicuro “beni rifugio”.

  • Claudio G. Hütte

    Se mi trovi il modo di poter lavorare da una “location tropicale” fammelo sapere che mi trasferisco subito.

    • Anthony Ceresa

      Carissimo Claudio G. Hutte,

      Rispondo alla tua richiesta.
      Prendi una Barca e avviati verso le Isole Caymane, a te la scelta, sono diverse isole tra le quali Grand Cayman.
      Troverai tutte le più grandi Banche del Mondo disponibili ad aiutarti e funziona tutto per Codici cifrati.
      Quello sarà il tuo Paradiso in tutti i sensi. Auguri.
      Anthony

      • Claudio G. Hütte

        Non parlavo di depositare i danari in banca, parlavo di lavoro.

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