In Libertarismo, Varie

PRIMITIVIDI DOMENICO LETIZIA

Non sempre il progresso e lo sviluppo tecnologico della società sono guardati con gioia e spirito di speranza per il futuro, vi è chi di questi traguardi ne ha fatto una profonda critica. L’anarco-primitivismo è tra quelle correnti di contestazione dell’esistente presente, sconosciuta ai più, da essere contestualmente completamente contro “questo presente” invocando un ritorno alla società deindustrializzata. Nel suo profondo aspetto politico l’anarco-primitivismo, analizza e strutturalizza studi etnografici cercando di mettere su, un tipo di cultura valida per vivere senza tecnologie. Ma la dimensione filosofica di tale teoria parte da un presupposto base: quello del malessere sociale, attuale, dovuto al progresso della civiltà umana.

Italo Svevo nel trasmetterci il suo pensiero, ben fruibile al lettore de La Coscienza di Zeno, ripercorre il progresso e l’evoluzione che sfuggono ai limiti del corpo e si rovesciano negli oggetti di cui indispensabilmente abbiamo bisogno. Zeno, nella conclusione del romanzo, annota che l’uomo ha cominciato a sfruttare ogni forma esistente e cancellato ogni naturalezza. La critica di Ettore Smith (vero nome di Svevo) che nel romanzo parla con il nome di Zeno è una critica radicale al progresso che ha fatto cadere l’umanità in una inguaribile “malattia”. Non vi è cura, né soluzione, anzi la cura sarebbe la morte della vita stessa. Tale senso di marcia è ormai inevitabile secondo lo scrittore. Zeno dice: “Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo.” Quello che Italo Svevo vuole trasmettere al lettore è la inevitabilità della “malattia” a cui l’umanità è condannata dato il progresso industriale, scientifico e tecnologico così crudele ma essenziale. Qualcuno ha sostenuto che l’anarco-primitivismo potrebbe essere la struttura analitica più coerente per capire e combattere l’attuale tendenza della società dalla “malattia” come scriveva, appunto, Italo Svevo. Ma se di malattia inguaribile si tratta e se dal progresso “attuale” non si può guarire, l’anarco-primitivismo non è che il prodotto di una società malata che cerca di trovare una cura, ma nella malattia, perché ragiona secondo quelle linee di prospettiva imposte agli individui, imposte senza spontaneità e libertà individuale come gerarchicamente e indiscriminatamente oltre che classisticamente si è diffuso il progresso. Una cura che una piccola percentuale dell’umanità accetterebbe. Ma anche questa piccola percentuale deve vedere affermata la propria individualità, anche “l’anarco-primitivista” deve essere libero di vivere come vuole.

Se scaviamo, la “malattia” risulta essere molto più capillare e con varie sfumature più dolci, soprattutto se pensiamo ai critici dell’attuale progresso con un passato ideologico vicino ad idee che avevano posto il progresso umano, sociale e di classe al centro e al di sopra di tutto, soprattutto dell’individuo, come il marxismo. Tra i più attivi primitivisti anarchici vi è il filosofo statunitense  John  Zerzan che differisce dai pensatori anarchici della seconda metà dell’Ottocento e da Marx, nonostante l’analisi sul capitalismo sia condivisa, ritenendo che essi si limitino a sostituire un modello di società con un altro, per quanto alternativo, che non scardina le strutture portanti della civiltà. Serge Latouche ha contribuito alla maturazione di concetti new global, ha maturato una svolta del suo pensiero che dalle posizioni marxiste tradizionali lo ha portato a una critica radicale delle “ideologie del progresso”, il marxismo tra queste. Questa maturazione lo ha portato, nel 1981, con Alain Caillè a fondare il Movimento Antiutilitarista nelle Scienze Sociali (MAUSS). Latouche conduce da anni una polemica contro il pensiero utilitarista, per liberare la società occidentale dalla dimensione economicista, dalla tecnocrazia, per “decolonizzare l’immaginario”, sfuggire alla catastrofe verso cui porta lo “sviluppo”. Latouche in un intervista dichiarò: “Molte ONG dipendono fondamentalmente dai finanziamenti pubblici e privati, per cui la loro pretesa di rappresentare la società civile mondiale va presa con cautela… molte ONG sono fasulle, sono di fatto delle organizzazioni governative o dipendenti dalle aziende, quindi di fatto sono schierate”. La problematica è nello stato e nel prodotto della sua autorità e gerarchia, nella sua funzione accentratrice politica, economica e culturale. Svevo parlava della contemporaneità come di un problema, una contemporaneità anche ai tempi di Svevo frutto dello statalismo, quindi, perché non potrei dire a Svevo e Latouche che svanito lo stato e i suoi modi di crear collettività, svanisce anche la malattia? Le teorie dell’economista antropologo, Latouche, non sono altro che una critica allo statalismo come prodotto anche e soprattutto dell’economia, lo stato e la sua famiglia: i monopoli. Per la libertà di scegliere come vivere dell’anarco-primitivista e del restante 99% dell’umanità che deve scegliere senza alcuna imposizione i propri valori e modelli sociali dell’esistenza. La malattia è nella coercizione, nella non libertà di scelta, nel dogmatismo, che spesso ha radici anche nelle più radicali formulazioni anarchiche che producono fascino poiché non vogliono solo cambiare la società attuale, ma radicalmente travolgerla.

TRATTO DA La biblioteca dell’egoista

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Showing 3 comments
  • Christian

    Secondo la mia opinione dovremmo ringraziare Copernico che ci ha tolto da quella scomodissima posizione e ci ha costretto a cercare il vero centro, sperando di non trovarlo mai (o che non esista affatto) perché in quel momento sarebbe la vera fine del nostro viaggio.

    Distinti Saluti

  • CARLO BUTTI

    Il capolavoro di Italo Svevo, come tutte le grandi opere d’arte, è così sfuggente nei suoi significati più profondi che bisognerebbe andar cauti a darne interpretazioni univoche, e ancor più cauti a identificare il narratore (Zeno Cosini) con l’autore(Ettore Schmitz, non Smith:per parte di padre era di ascendenza austriaca, non inglese!) Siamo proprio sicuri che dal romanzo sveviano esca una critica limitata alla società moderna, scientifica, capitalistica e tecnologica in quanto tale? A me pare che l’agghiacciante conclusione, ove si profetizza, e forse ci si augura, una deflagrazione dell’Universo ad opera di un folle, inventore d’un ordigno micidiale, sottintenda un pensiero ben più radicale d’un sognato ritorno alla felicità dei primitivi. Siamo lontanissimi da Rousseau: in mezzo c’è stato il Romanticismo ingenuo delle “magnifiche sorti e progressive”, spazzato via da Schopenhauer e da Leopardi; e a dispetto dell’impetuoso sviluppo industriale gli spiriti più pensosi si interrogano sulla nullità dell’uomo in quanto uomo, che ha perduto ogni certezza religiosa e si sente un granello di sabbia sperduto in un universo di cui gli sfugge il senso. Per questo l’uomo moderno non può che considerarsi un inetto:colpa di Copernico – dice Mattia Pascal nel romanzo pirandelliano a lui intitolato- che ha spodestato la Terra e i suoi abitanti, mettendo il Sole al centro. Conosciuto l'”orrido vero” (Leopardi) l’umanità non ha più speranze; non potrà più riacquistare le antiche illusioni; tanto meno risolverà i suoi problemi vagheggiando di ritornare a una primitiva età dell’oro. “Per me la vita è male” dice il leopardiano pastore errante dell’Asia: un pastore “primitivo”, non un uomo tecnocratico! Quindi le brutture del capitalismo e della tecnocrazia non sono che l’ultimo frutto di un destino esistenziale irredimibile, che può terminare solo con la deflagrazione preconizzata da Zeno o con la caduta del Walhalla nel “Crepuscolo degli Dei” di Wagner: il ritorno nel Tutto indistinto. Il peccato originale dell’uomo è proprio quello di aver voluto diventare uomo, attraverso un “principium individuationis” che, in quanto atto di superbia, può portare solo all’infelicità e alla rovina. Come si vede, queste problematiche sono assai diverse dal nocciolo delle questioni, di ben più modesta portata, su cui è chiamato a confrontarsi il pensiero libertario. Non sarà certo abolendo lo Stato che risolveremo il mal di vivere della Modernità: sarebbe come pretendere di costruire una cattedrale gotica coi sassolini del nostro giardino.

    • nik

      @ Carlo Butti, che bel commento! Viene quasi da ringraziare l’autore dell’articolo per aver stimolato la sua risposta.
      … e temo che il male di vivere sia connesso con l’umanità da un tempo senza inizio.

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