In Anti & Politica, Libertarismo

DI GARY NORTH*

Domenica 24 aprile 2005 ricorreva il 90° anniversario del primo genocidio del ventesimo secolo: il massacro, ad opera del governo turco, di oltre un milione di armeni disarmati. La parola chiave è “disarmati”.

I turchi riuscirono a passarla liscia nascondendosi sotto la copertura della guerra. Non subirono maggiori ritorsioni post-belliche per aver compiuto lo sterminio di massa di un popolo pacifico, rispetto a non averlo compiuto.

Altri governi presero subito nota di questo fatto. Fu visto come un precedente internazionale molto utile.

Settantanove anni dopo l’inizio di quel genocidio, l’”Hotel Ruanda” entrò in attività.

Anche gli Hutu la passarono liscia. Ironicamente, almeno dieci anni prima – non ricordo la data esatta – la rivista Harper’s aveva pubblicato un articolo in cui si prediceva quel genocidio per la seguente ragione: gli Hutu avevano le mitragliatrici; i Tutsi no. L’articolo era scritto come una sorta di parabola, non come una specifica previsione politica. Ricordo di averlo letto a quell’epoca e di aver pensato: “Se fossi un Tutsi, emigrerei.”

Essere un civile nel ventesimo secolo non fu un buon affare. Le probabilità erano contro ai civili.

Cattive notizie per la popolazione civile

Il ventesimo secolo, più di ogni altro secolo nella storia documentata, è stato il secolo della disumanità dell’uomo verso l’uomo. Questa frase è memorabile, ma è anche fuorviante. Dovrebbe essere modificata così: “Disumanità dei governi verso civili disarmati.” Nel caso di genocidio, però, non è facile sminuire il crimine classificandolo come danni collaterali per un nemico di guerra. Si tratta di sterminio deliberato.

Il ventesimo secolo cominciò ufficialmente l’1 gennaio 1901. All’epoca, era in pieno corso una guerra importante, quindi cominciamo da questa. Era la guerra degli Stati Uniti contro le Filippine, i cui cittadini cullavano l’ingenua idea che la liberazione dalla Spagna non implicasse la colonizzazione da parte degli Stati Uniti. Prima su ordine di McKinley e in seguito di Roosevelt, furono inviati 126.000 soldati nelle Filippine per dare loro una lezione di geopolitica moderna. Avevamo pienamente comprato le Filippine dalla Spagna per 20 milioni di dollari nel dicembre 1898. Il fatto che le Filippine avessero dichiarato l’indipendenza sei mesi prima era irrilevante. Un affare è un affare. Coloro che venivano comprati non avevano voce in capitolo.

A quel tempo, contammo i morti tra i combattenti nemici. Le stime ufficiali erano di 16.000 morti. Alcune stime non ufficiali indicavano un numero più vicino a 20.000. Per quanto riguarda i civili, allora come oggi, c’erano solo cifre non ufficialmente riportate dagli Stati Uniti. La stima inferiore è di 250.000 morti. La stima superiore è di un milione.

Poi la Prima Guerra Mondiale ruppe gli argini e aprì la strada all’inondazione – l’inondazione di sangue.

Turchia, 1915

Il gioco diplomatico è sempre verbale. La parola “genocidio” è proibita. La Turchia accetta, seppur con fastidio, “tragedia”. Perciò, tutti i rapporti ufficiali provenienti da fonti governative di tutto il mondo – ad eccezione dell’Armenia – fanno riferimento alla “tragedia armena”. Questo gioco diplomatico va avanti sin dalla fine della Prima Guerra Mondiale. Reagan è stato l’unico presidente ad usare il termine corretto. Il presidente Bush nel 2003 parlò diplomaticamente di “uccisioni di massa”. […]

Non essendo diplomatico in questioni così gravi, nemmeno remotamente, io preferisco usare la temuta parola. Il genocidio armeno del 1915 fu preceduto da una parziale pulizia etnica, che durò due anni, dal 1895 al 1897. Circa 200.000 armeni furono uccisi.

Questo evento servì da sfondo per lo straordinario film di Elia Kazan, America, America (1963), che fu nominato all’Oscar nel 1964. Kazan racconta una versione romanzata della storia di un suo zio greco, emigrato in America. La famiglia di Kazan lo seguì nel 1913. Il film comincia con due amici, uno greco e l’altro armeno, che vengono avvertiti dal loro ex-comandante militare, turco, di guai in arrivo. Poi i guai arrivano. Ufficiali turchi rinchiudono l’armeno, insieme ad altri armeni, all’interno di una chiesa. Poi fanno bruciare la chiesa. Il greco vede cosa accade. Fa voto di fuggire dall’impero Ottomano e andare in America. Il film segue il suo viaggio. L’America era un asilo sicuro per chi cercava rifugio. Se mai ci fu un film sull’America come asilo per rifugiati, questo è America, America.

Gli armeni erano facilmente identificabili. Secoli prima, i conquistatori turchi ottomani li avevano obbligati ad aggiungere ai loro cognomi il suono “ian/yan”. Erano sparsi per tutto l’impero, per cui non possedevano lo stesso tipo di concentrazione geografica e di roccaforti che altri cristiani avevano in Grecia o nei Balcani. Non avevano mai organizzato forze armate di resistenza. Fu questo a portarli alla distruzione. Non potevano difendersi.

Erano invidiati perché erano ricchi e meglio istruiti rispetto al gruppo sociale che comandava. Erano gli uomini d’affari dell’impero Ottomano. Lo stesso valeva in Russia. Lo stesso risentimento esisteva in Russia, sebbene non con l’intensità del risentimento in Turchia.

Le stime da fonti non turche variano da 800.000 a 1.500.000 armeni uccisi. La maggior parte di questi furono uccisi con tecniche a bassa tecnologia ma ad alta efficienza. L’esercito radunava centinaia o migliaia di civili, li spingeva verso aree selvatiche e aspettava finché morivano di fame.

Genocidio? Assurdo!

È tuttora la posizione ufficiale del governo turco che non fu genocidio; fu un dislocamento per ragioni militari. Capite, c’era in progetto una rivolta da parte degli armeni e dei russi nella regione Van, una zona di confine. Questa fu la spiegazione fornita nel 1915 dal Console Generale turco a New York, in una dichiarazione pubblicata sull’edizione del 15 ottobre 1915 del New York Times. […]

Poi, per qualche motivo, le cose sfuggirono di mano. Il governo era impotente. Capite, proprio come tutti gli altri governi in periodo di guerra riguardo alle azioni di ufficiali in difesa della nazione. Impotente. Cosa potrebbe fare un governo? In giorni recenti, un rappresentante di scarso rilievo del governo turco si è scusato:

“Chiediamo scusa agli Armeni per non essere stati in grado, noi e i nostri predecessori, di prevenire il genocidio.” Queste sono le parole di Jashar Arif, rappresentante della International Exchange Confederation, che è turco. Egli è giunto in Armenia insieme a diversi altri turchi per prendere parte agli eventi per il 90° anniversario del genocidio armeno.

Il governo turco continua a sostenere che all’epoca era previsto che gli armeni si alleassero con i russi per combattere contro i turchi. Anche pochi giorni fa, il 24 aprile 2005, il Philadelphia Enquirer ha riportato come Yasar Yakis, a capo del Comitato per gli Affari della Comunità Europea del parlamento turco, spiega le ragioni per il dislocamento. “Gli armeni furono dislocati perché cooperavano con il nemico, i russi, e […] uccidevano soldati ottomani da dietro le linee.”

Gli armeni furono uccisi sistematicamente in tutto l’impero, non solo sul confine russo. Il dislocamento in un campo di solito significa che sono forniti cibo, tetto e le necessità di base. Non significa essere lasciati morir di fame in aree selvatiche.

[…]

Il governo turco nel 1989 ha affermato che gli archivi riguardanti l’”inesistente genocidio” erano finalmente aperti. Però, è emerso che non erano aperti agli armeni che studiavano l’”inesistente genocidio”.

Quello che gli archivi provano, secondo il governo turco, è che i turchi furono vittima di assassinio di massa da parte degli armeni. Sì, è difficile da credere. Ma è quello che mostrano gli archivi. Abbiamo la parola del governo turco. Il 25 aprile 2005, è apparso un documento sul sito della International Relations and Security Network, che è in parte finanziata dall’agenzia svizzera per la difesa. Vi è scritto:

Gli armeni affermano che almeno un milione di persone della loro etnia morirono tra il 1915 e il 1917 in conseguenza di una deliberata politica di sterminio. Affermano che tale politica fu avviata dal Comitato di Unione e Progresso (Ittihad ve Terakki Cemiyeti), o CUP, allora alla guida dell’impero. Ankara afferma che il bilancio dei morti è ampiamente esagerato e che morirono circa 300.000 armeni durante quegli anni. Afferma inoltre che le morti furono in conseguenza di negligenza, lotte tra etnie, operazioni di guerra. Afferma che i leader del CUP – noti anche come Giovani Turchi – non avevano alcuna intenzione di spazzare via la più grande comunità cristiana restante nell’impero. Pur non negando le deportazioni di massa del 1915 – che seguirono il massacro di 200.000 greci – la storiografia ufficiale turca afferma che i trasferimenti ebbero lo scopo di prevenire la collaborazione tra gli armeni e la Russia. La Russia zarista era allora in guerra contro l’impero Ottomano e la Germania sua alleata. La storiografia ufficiale turca asserisce inoltre che più di 500.000 turchi morirono per mano degli armeni tra il 1910 e il 1922.

Il 25 aprile 2005, dal sito TurkishPress.com, apprendiamo dello spietato contro-genocidio.

Onur Oymen, leader del Partito Popolare Repubblicano turco (CHP), ha affermato lunedì: “se si deve esprimere dolore per le vittime armene, si devono anche ricordare i turchi che in numero maggiore di mezzo milione furono uccisi negli stessi incidenti.”

Ci viene inoltre assicurato, da un portavoce del ministro turco per la Giustizia, che la Turchia ha sopportato abbastanza questa assurdità del genocidio. Il 25 aprile 2005, TurkishPress.com ha pubblicato:

Il portavoce del Ministero di Giustizia e del Governo turco Cemil Cicek ha affermato che, dopo aver lasciato agli storici la questione del cosiddetto genocidio per molti anni, è veramente venuto il momento per la Turchia di cominciare a smentire tutte le accuse, in vari paesi.

[…]

E’ venuto il momento, davvero! Quegli storici, legati come sono a fuorvianti documenti da fonti primarie, sono semplicemente inaffidabili. Non prestano sufficiente attenzione a documenti da fonti primarie sulle assicurazioni ufficiali turche, indicanti da 90 anni che niente stava accadendo o accadde, preferendo citare invece inaffidabili racconti di testimoni oculari di quanto accadeva. L’influenza politica armena è dietro a tutto ciò.

Cicek ha sottolineato che gli armeni influenzano i parlamenti dei paesi in cui hanno potere e sono riusciti ad ottenere decisioni parlamentari in loro favore in 15 paesi.

Ah, già: la ben nota Armenian International Network, che domina i parlamenti nel mondo. […]

Il libro blu

Quello che è rimasto di traverso al governo turco per quasi 90 anni è un rapporto ufficiale del governo britannico, The Treatment of Armenians in the Ottoman Empire 1915–1916. Se non credete che i governi rimangano ancorati alla loro versione ufficiale della storia, considerate questo pezzo sulFinancial Times del 22 aprile 2005.

La Turchia contesta la “frode” del genocidio

di Vincent Boland ad Ankara

Ieri il parlamento turco si stava preparando a chiedere al Regno Unito di ripudiare un documento storico, considerato alla base dell’accusa armena di genocidio ad opera dei turchi ottomani, durante la prima guerra mondiale.

L’iniziativa giunge alla vigilia delle commemorazioni tra gli armeni per il 90° anniversario di quello che essi considerano l’inizio del massacro, che avrebbe mietuto fino a 1.5 milioni di vittime.

Questa mossa avrà verosimilmente l’effetto di esacerbare l’aspra disputa tra turchi e armeni. I sostenitori della causa armena, in particolar modo in Francia, stanno facendo pressione affinché l’Unione Europea ritardi l’inizio dei colloqui per l’entrata della Turchia nella EU fino a quando la Turchia non riconoscerà lo “sterminio sistematico” nel 1915.

I parlamentari turchi hanno completato e firmato una lettera indirizzata ad entrambe le camere del parlamento britannico, sostenendo che il documento fu “una frode basata su montature, mezze verità e resoconti e percezioni faziosi” di quanto accadde e “un capolavoro di propaganda e di inganno”.

Il documento, The Treatment of Armenians in the Ottoman Empire 1915-1916, fu scritto dallo storico britannico Arnold Toynbee ed era incluso in una pubblicazione nota come Blue Book, di Viscount Bryce, un diplomatico britannico. Era un documento ufficiale di Westminster, per questo il parlamento turco si appella alla camera dei comuni e alla camera dei lord.

La Turchia respinge l’accusa di genocidio. Insiste che il vero bilancio delle vittime tra gli armeni fu di circa 600.000 morti e che molti morirono per gli effetti di guerra civile, fame e deportazione. Afferma inoltre che la morte di centinaia di migliaia di turchi nello stesso periodo è ignorata.

La lettera, resa disponibile ieri dal parlamento turco nella versione originale turca e nella traduzione inglese, sarà inviata a Londra con imminenza.

La lettera afferma che la propaganda britannica nella prima guerra mondiale dipinse la distruzione dell’impero Ottomano come obiettivo chiave della guerra, al fine di “rendere accettabile il colonialismo britannico in Anatolia e in Mesopotamia” e incoraggiare gli Stati Uniti ad unirsi agli Alleati. L’impero Ottomano collassò in tante nazioni dopo la guerra. La zona centrale dell’impero, l’Anatolia, è la Turchia di oggi.

L’ambasciata britannica ad Ankara ha rifiutato di commentare la lettera. Alcuni storici turchi affermano che il documento ha superato la prova del tempo; altri dicono che Toynbee in seguito prese le distanze dai suoi riscontri, basati su racconti di testimoni oculari.

La posizione ufficiale del Regno Unito è che i massacri furono “una tragedia orribile”, tuttavia le prove non sono “sufficientemente inequivocabili” per classificarli come genocidio secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul Genocidio del 1948.

Viscount James Bryce era uno storico illustre. Il suo libro The American Commonwealth (1888) è consultato ancora oggi dagli storici americani come fonte primaria sull’opinione acculturata degli inglesi sull’America. Fu ambasciatore negli Stati Uniti negli anni 1907-13.

Il nome Arnold Toynbee può forse suonare familiare. Negli anni ’50, era uno dei più illustri storici del mondo. Il suo studio in 12 volumi (1934-61) di 26 civiltà non ha precedenti nella sua vastità. The Treatment of Armenians fu la sua prima pubblicazione di rilievo.

Il brano che segue appare nella parte VI, “Le deportazioni del 1915: Procedure”. E’ illuminante: leggetelo con attenzione. E’ l’aspetto cruciale dell’intero genocidio. Il governo confiscò le loro armi.

Fu decretato che tutti gli armeni dovessero essere disarmati. Gli armeni nell’esercito furono costretti a lasciare i ranghi combattenti, quindi furono riorganizzati in speciali battaglioni di lavoro e messi all’opera per costruire fortificazioni e strade. Il disarmo della popolazione civile fu lasciato alle autorità locali e in tutti i centri amministrativi cominciò un regno del terrore. Le autorità pretendevano che fossero consegnate armi in un certo numero definito. Coloro che non potevano consegnarle venivano torturati, spesso in modi maniacali; coloro che se le procuravano per consegnarle, comprandole dai vicini musulmani o in altri modi, venivano imprigionati con l’accusa di congiura contro il governo. Solo pochi di questi erano uomini giovani, in quanto in maggioranza i giovani erano stati chiamati a servire nell’esercito; erano uomini maturi, uomini importanti e leader della comunità armena; divenne evidente che l’inquisizione per le armi veniva usata come maschera per privare la comunità dei suoi capi naturali. Misure simili avevano preceduto i massacri del 1895-6, quindi l’inquietudine del presentimento si diffuse tra la gente armena. “Una notte in inverno”, scrive uno straniero testimone di questi eventi, “il governo inviò ufficiali per la città in tutte le case armene: questi svegliavano le famiglie esigendo la consegna di tutte le armi. Questa azione ebbe l’effetto di campane a morto su molti cuori.”

Io possiedo una copia di The Treatment of Armenians. Anzi, la possiede mia moglie. Il libro contiene due resoconti degli eventi nel Van, cioè dove i turchi dicono che scoppiò una rivolta, giustificando perciò il dislocamento forzato. Questi resoconti furono scritti da Y.K. Rushdooni (così il nome è scritto in The Treatment of Armenians), il nonno di mia moglie. Sono estremamente dettagliati: le attività strada per strada. Y.K. Rushdoony aveva, ed ebbe per tutta la vita, una memoria fotografica. […]

Controllo delle armi

Lenin disarmò i russi. Stalin commise genocidio contro i kulaki negli anni ’30. I morti furono almeno sei milioni.

Nel testo del Gun Control Act del 1968, persino le parole usate sono prese dalla legge di Hitler del 1938, che a sua volta era una revisione della legge del 1928 approvata dal governo della repubblica di Weimar. Una buona introduzione a questa analisi storica “politically incorrect” del controllo delle armi in America si trova su jpfo.org (Jews for the Preservation of Firearms Ownership).

Quando le truppe di Mao prendevano un villaggio, una delle loro azioni era rapire persone ricche. Poi, offrivano di liberare le vittime in cambio di denaro. Le vittime erano rilasciate dopo il pagamento. Poi erano rapite di nuovo. Questa volta, la richiesta era per le armi. Poi venivano rilasciate di nuovo. Questo faceva sì che le richieste apparissero ragionevoli alle famiglie delle prossime vittime. Ma una volta che le truppe ebbero le armi della comunità, cominciarono gli arresti e le esecuzioni di massa.

L’idea che l’individuo abbia il diritto all’autodifesa è scritto nella costituzione americana: si tratta del secondo emendamento. Carroll Quigley, che insegnò storia a Bill Clinton a Georgetown, era un esperto nella storia delle armi. Scrisse un libro di un migliaio di pagine sugli armamenti medievali. Sostenne e argomentò in Tragedy and Hope (1966) che la rivoluzione americana ebbe successo perché gli americani possedevano armi comparabili a quelle delle truppe britanniche. Questo, disse, fu il motivo per cui ci furono una serie di rivolte contro governi dispotici nel diciottesimo secolo. Quando le armi del governo divennero superiori, la spinta verso governi dal potere più limitato non ebbe altrettanto successo.

C’è una ragione per cui i governi si impegnano a disarmare i loro cittadini. Vogliono mantenere il monopolio della violenza, il resto non conta. L’idea di una cittadinanza armata è un anatema per la maggior parte dei politici. Dopotutto, qual è lo scopo di un monopolio, se non di essere usato?

Conclusione

I genocidi avvengono.

Non avvengono mai quando le potenziali vittime possiedono armi da fuoco.

Gary North27 aprile 2005

Articolo su lewrockwell.com

 

*Link all’originale: http://vonmises.it/2013/02/13/controllo-delle-armi-e-genocidi/

Traduzione di Maria Missiroli

 

 

 

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Showing 8 comments
  • Lorenzo

    Io non penso che se gli americani avessero lasciato le Filippine senza colonizzarle, sarebbero poi diventate un paese libero, democratico e prospero. E dove le avrebbero comprate le armi per difendersi da possibili futuri invasioni europee se non dagli Stati Uniti?

  • Albert Nextein

    Io sono contrario all’europa e all’ingresso della turchia.
    Si tratta di argomenti fuori dal mondo,e dal tempo.
    Chi se ne fotte della turchia,pur con le basi Nato-americane, e pur come transito di importanti oleo-gasdotti.
    Quanto all’uso delle armi,circa 30 anni fa chiesi ilporto d’armi.
    Ero giovane,ultraventenne e studente.
    Ma svolgevo attività presso un’azienda.
    I carabinieri quando mi hanno convocato mi liquidarono con un : Caro , sei giovane. Studia e chiava, che è meglio.

    Naturalmente io sono a favore del possesso delle armi,da pistole, a fucili.
    Anche carri armati e bombe.

  • fabio

    BELLISSIMO ARTICOLO, COMPLIMENTI

  • Mauro Gargaglione

    E in complimento alla bravissima traduttrice di Von Mises Italia lo vogliamo fare?
    :))

  • Borderline Keroro

    e vallo a spiegare a quelli che amano lo Stato

  • ben

    per questo che vogliono disarmare la gente…con la scusa dei pazzi che ammazzano nelle scuole dei pazzi americani…popolo disarmato lo puoi schiacciare in qualsiasi momento!!

  • gastone

    ..che fà il paio con, il popolo deve possedere la moneta nella sua saccoccia, che è un deterrente straordinario verso le folli spese dello stato che invece lo usa contraffatto (dalle banche) per poter accrescere il suo potere e le sue competenze fino a succhiare nelle sue interiora ogni forma di vita individuale.

  • Giorgio Fidenato

    Magnifico articolo. Da incorniciare. Il popolo, la gente comune deve possedere le armi e deve imparare ad usarle responsabilmente. Le armi in mano al popolo sono un deterrente straordinario verso qualsiasi tipo di dittatore che voglia prendere possesso del potere, sia verso suoi concittadini che verso persone di altri paesi.

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