In Anti & Politica, Economia

KrugmanDI MATTEO CORSINI

“Ma la politica precedente il 2008 avrebbe dovuto essere diversa? E come dovrebbe essere guardando avanti? Molti commentatori economici considerano l’aumento della leva, bolle delle attività finanziarie e cose del genere come evidenza che la politica monetaria fosse troppo accomodante; alcuni ritengono che la Fed mantenne i tassi troppo bassi e troppo a lungo dopo la recessione del 2001, alcuni pensano che i tassi di interesse siano stati troppo bassi nell’intero periodo compreso tra il 1985 e il 2007. Il problema con questo tipo di argomentazioni è che se alla politica monetaria è assegnato il compito di scoraggiare la gente dall’indebitarsi eccessivamente, non può perseguire la piena occupazione e la stabilità dei prezzi, che sono obiettivi altrettanto validi (oltre a essere il mandato statutario della Fed). Specificamente, dato che l’economia statunitense non mostrava segni di surriscaldamento tra il 1985 e il 2007, l’argomento che la Fed avrebbe dovuto nondimeno mantenere i tassi più elevati equivale a sostenere che la Fed avrebbe dovuto mantenere l’economia depressa e la disoccupazione elevata in modo persistente – correndo anche il rischio di deflazione – per scoraggiare i debitori e i creditori dal compiere scelte sbagliate. Molti di noi sosterrebbero che la risposta corretta non è una politica monetaria più restrittiva, ma una regolamentazione più stringente: maggiori requisiti di capitale per le banche, limiti alla concessione di prestiti rischiosi, ma forse anche limiti a chi si indebita, come un tetto al rapporto tra valore dell’immobile e importo del mutuo sulla casa e restrizioni sui secondi mutui. Ciò avrebbe ostacolato le bolle e l’indebitamento eccessivo, lasciando la politica monetaria libera di perseguire i propri obiettivi convenzionali”. (P. Krugman)

Ho riportato questo lungo passaggio di un articolo di Paul Krugman perché la sua posizione in merito alla politica monetaria e all’utilizzo della regolamentazione come strumento per prevenire la formazione delle bolle coincide con quella del futuro presidente della Fed, Janet Yellen (e anche dell’attuale, Bernanke, a onor del vero). La quale si dice convinta che non vi siano segni di formazione di bolle sui mercati finanziari in questo momento (d’accordo: sarebbe ingenuo aspettarsi una dichiarazione di segno opposto da parte sua, ma che la compressione dei premi per il rischio sia quanto meno preoccupante dovrebbe essere una osservazione di buon senso, allo stato attuale). Krugman osserva che molti commentatori economici sono dell’idea che la politica monetaria della Fed sia stata troppo accomodante su un esteso periodo di tempo prima del 2007 (peraltro, dopo lo è stata molto di più).

Dal suo punto di vista, tuttavia, non essendosi verificato un “surriscaldamento dell’economia” la Fed non avrebbe fatto nulla di male. Anche perché se avesse condotto una politica monetaria più restrittiva, avrebbe condannato l’economia statunitense alla depressione e provocato un aumento della disoccupazione (il richiamo al rischio di deflazione è la classica ciliegina sulla torta keynesiana), andando contro al proprio mandato statutario. Essendo peraltro innegabile che nello stesso arco temporale, pur non essendovi stata un’impennata degli indici dei prezzi al consumo, di bolle se ne sono gonfiate e scoppiate almeno due macroscopiche, cosa si sarebbe potuto fare per evitare tutto ciò? Secondo Krugman non era la politica monetaria a dover essere più restrittiva, bensì si sarebbe dovuta utilizzare “una regolamentazione più stringente”. In sostanza, alla distorsione introdotta nella determinazione dei tassi di interesse se ne sarebbero dovute aggiungere altre di tipo regolamentare per correggere alcune conseguenze indesiderate della politica monetaria espansiva. Chiunque abbia letto i lavori più importanti di Ludwig von Mises e dei suoi allievi non potrà fare a meno di constatare che la posizione di Krugman calza a pennello con l’analisi di Mises sull’interventismo. Ogni intervento provoca distorsioni che rendono necessari, dal punto di vista dell’interventista, ulteriori provvedimenti, con una reazione a catena che a lungo andare conduce dall’interventismo al socialismo.

In pratica, prima si pongono le basi per una espansione eccessiva del credito/debito; poi si cerca di limitarne gli effetti indesiderati (ovviamente secondo il punto di vista del regolatore) ponendo limiti oggettivi e soggettivi all’attività creditizia. Il tutto in base all’assunzione, implicita ma piuttosto evidente, che il regolatore abbia una conoscenza tale da sapere perfettamente cosa è bene per milioni di individui. Ebbene: anche se sarebbe sufficiente il buon senso per rendersi conto che nessuno è onnisciente, credo che la storia economica dell’ultimo secolo fornisca prove sufficienti per affermare, parafrasando Hoppe, che la regolamentazione è il dio che ha fallito. E non potrà far altro che continuare a fallire, a mio parere. Ovviamente i fautori di posizioni come quelle di Krugman parlano di fallimenti del mercato, altrimenti crollerebbe il loro castello di carte. Ma identificare con un fallimento del mercato la formazione di un prezzo non in linea con quello che si ritiene soggettivamente corretto è indice di una presunzione e di un atteggiamento totalitario che dovrebbe far rabbrividire.

Invece fa vincere premi Nobel e poltrone da presidente di banche centrali.

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